Il dragone rosso colpisce ancora

Firmato il 30 Dicembre il CAI: l’accordo bilaterale Cina-Ue in materia di investimenti in discussione dal lontano 2013

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Nonostante a seguito della rivolta del 6 Gennaio negli USA, i leader dell’Unione Europea abbiano condannato pubblicamente l’insurrezione come un atto anti-democratico, a pochi giorni di distanza tornano a far parlare di sé firmando un accordo con la Repubblica Popolare Cinese, la stessa che è stata accusata  dell’oppressione di Hong Kong e della reclusione degli Uiguri nei campi di rieducazione: eventi che mettono in dubbio l’effettivo rispetto dei principi democratici nel territorio cinese.

CAI, le basi dell’accordo:

Dopo quasi sette anni di negoziati, l’Unione Europea e la Cina e hanno firmato il CAI, Comprehensive Agreement on Investment, accordo sulle tematiche quali: la trasparenza, la prevedibilità e la certezza del diritto a cui sono soggetti gli investimenti europei sul suolo asiatico. Lo scopo dell’accordo è riuscire a garantire un trattamento equo e una tutela da pratiche discriminatorie. Grazie ad esso sarà garantito agli investitori UE l’accesso ad un mercato da 1.4 miliardi di consumatori, permettendo quindi di competere con la realtà cinese con un grado di reciprocità maggiore, favorendo quindi una crescita e uno sviluppo maggiore per l’industria europea.

XI JINPING PRESIDENTE CINESE

CAI, l’antefatto cinese:

La Repubblica Popolare Cinese dopo l’improvviso scoppio dell’epidemia da SARS-COV-2 è riuscita a contenere i contagi e a riprendersi prima di tutte le altre nazioni. Ciò ha comportato un vantaggio che pone l’economia cinese in una posizione dominante, con una crescita positiva assicurata probabilmente per almeno il prossimo biennio (stando ai dati dell’Istituto Nazionale di Statistica, ndr). Analizzando nel dettaglio, ad inizio pandemia l’economia asiatica ha registrato un trend negativo nel trimestre gennaio-marzo (ricordiamo che un simile evento era stato registrato l’ultima volta nel 1992, ndr), tuttavia la crescita del PIL nell’ultimo trimestre del 2020 è stata pari al 6.5%, riportando un ritmo superiore a quello registrato prima dello scoppio ella pandemia. Questo processo è stato garantito da una politica espansiva nel campo degli investimenti e delle esportazioni. In particolar modo parliamo di investimenti in immobili (ovvero fabbriche ed edifici per uffici) e in infrastrutture; senza tralasciare gli ingenti flussi di capitali investiti nei mercati finanziari

CAI, l’idea di Biden:

Il presidente neo-eletto americano Joe Biden ha invitato l’Unione di rallentare gli accordi di avvicinamento con laCina. Questa posizione americana è dovuta a due fattori: in primis la problematica riguardante l’ancora fortemente esistente lavoro forzato e, in secondo luogo, nell’abuso dei diritti umani e dei minori, celati dalla superpotenza asiatica. In particolar modo si fa riferimento alla rivoluzione violenta a Hong Kong e del disumano lavoro forzato nella provincia di Xinjiang nei “campi rieducativi” (luogo in cui sono avvenute anche le registrazioni di alcune scene del tanto criticato film Disney “Mulan”). In realtà, dalle dichiarazioni fatte fino ad oggi, sembra che Biden intenda creare un fronte comune, basato su un approccio multilaterale, per affrontare così i rapporti con Pechino; questo legato alla volontà del 46esimo presidente degli USA che vuole mantenere un atteggiamento duro, ma basato sulla diplomazia e partner per affrontare la crescente avanzata tecnologica e militare asiatica.

CAI, l’affidabilità della Cina in discussione:

Non dobbiamo dimenticare che nel 2015, Cina e Australia hanno siglato un accordo commerciale di libero scambio chiamato ChAFTA, China-Australia Free Trade Agreement. Un accordo che è maturato dopo dieci anni di trattative e intese. Questo per l’Australia era stato un’opportunità favorevole per subentrare in uno dei mercati più grandi per l’esportazione di beni e servizi, tuttavia, il paese asiatico è venuto meno agli accordi stabiliti infliggendo pesanti dazi sui vari prodotti australiani. Nel 2020 l’orzo australiano, prodotto più importato tra queste due nazione, è stato pesantemente tassato dal governo asiatico. Tant’è vero che l’ex ministro del Commercio australiano Simon Birmingham, a seguito degli eventi, ha ammonito altri Stati alleati dall’entrare in negoziazione con la Repubblica Popolare Cinese.

A cura di Emanuele Piccinella

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