A due mesi di distanza dalla Brexit emergono i dati riguardo agli scambi commerciali: l’impatto economico più forte è sull’Italia
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Brexit, l’impatto economico:
Il nostro Paese ha un’altra gatta da pelare insieme alla pandemia da Covid-19: Le esportazioni di cibo nell’oltremanica sono crollate del 38.3% e le importazioni addirittura di oltre il 70%.
Come ci si poteva aspettare, in seguito ad alcune limitazioni sugli scambi poste dagli stati membri dell’UE a discapito dell’UK, i rapporti di import-export tra UK e questi ultimi sono in declino. In particolare, Francia e Germania hanno subito un calo nel saldo commerciale sia in esportazioni -13% e -30%, che in importazioni -20%. Se questo declino è in parte dovuto all’emergenza sanitaria, secondo Coldiretti (associazione di rappresentanza degli agricoltori italiani, ndr), con l’avvento della Brexit gli scambi hanno subito una notevole battuta d’arresto nel primo trimestre del 2021.
L’impatto economico è così forte da provocare un eco anche oltreoceano: diminuiscono significativamente i rapporti con gli Stati Uniti in importazioni -23.9% ed esportazioni -20.6%. Uno dei motivi risiede nell’ accordo riguardo alla sospensione dei dazi reciproci tra States e UK.
L’esodo scatenato dal Regno Unito si riflette anche in Nordafrica dove il bilancio commerciale si riduce rispettivamente del 32.1% in export e 10.1% in import.
Considerando la tendenza già negativa del PIL italiano, non possiamo far altro che attenderci un’ulteriore fase di recessione, tenendo conto del fatto che l’industria alimentare italiana è una delle più esportate, maggiormente in UK, dove gli inglesi acquistano ingenti quantità dei prodotti Made in Italy: dal vino ai formaggi come il Parmigiano Reggiano, fino alla pasta. Sempre per Coldiretti, l’allungamento dei tempi burocratici alle frontiere diventano il peggior scenario per i prodotti deperibili, mettendo in pericolo circa 3.4 miliardi di euro in esportazioni alimentari. L’unica magra consolazione per l’Italia è il vertiginoso aumento dei beni esportati in Cina, ovvero del 29.9%.
Brexit, inflazione e disoccupazione all’orizzonte:
Secondo le stime diffuse da Bruxelles, il Regno Unito perderà 2.2 punti percentuali di PIL fino al 2022, mentre gli Stati UE perderanno mezzo punto percentuale; ciononostante, per la Commissione Europea, la ripresa della Gran Bretagna sarà più rapida rispetto all’Italia. Inoltre, i nuovi protocolli, i costi più esosi e i ritardi burocratici hanno fatto sì che le imprese medio-piccole siano più attratte dall’investire in paesi UE. Molte di queste, infatti, hanno deciso di spostare i depositi negli stati membri dell’Unione Europea, causando maggiore disoccupazione.
Anche i mercatini britannici, famosi per favorire una spesa low cost, hanno subito un rincaro del 50% e in particolare al North End Road di Londra, dove c’è stata la fiammata d’inflazione da Brexit più grande di tutta l’Inghilterra. La diminuzione della quantità importata, quindi quella presente nei suddetti mercatini, sarebbe la causa della spirale inflazionistica.
A cura di Vincenzo Succoia