La pandemia sta piegando numerose società: notevoli sono le problematiche di natura economica legate al mancato pagamento dei contratti
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Serie A, l’entrata da cartellino rosso del Covid
Un anno fa un nemico invisibile ha confinato nelle proprie abitazioni miliardi di persone, costringendole in prigioni di cristallo nelle quali il tempo è sembrato rallentare e l’ansia, la paura, la poca preparazione e l’incertezza dinnanzi ad un ostacolo sconosciuto hanno virtualmente allungato la durata di una clausura forzata, che, invece di tre mesi, è sembrata protrarsi per anni.
Per quanto possa sembrare, a chi giudica dall’esterno, che il denaro conferisca una parvenza di potere a chi ne possiede grandi quantità, anche i più grandi organismi societari, seppur forti delle proprie disponibilità monetarie e delle capacità dei professionisti alle loro dipendenze, hanno subito duri colpi nel periodo del lockdown, portatore di una crisi economica che non ha risparmiato neanche il calcio italiano.
Gli stadi vuoti, i terreni di gioco insolitamente liberi dagli schiamazzi provenienti dal campo, dalle panchine e dagli spalti, oltre ad infondere un’enorme tristezza per una delle tante privazioni temporanee imposte dal Covid, erano il segno dell’inizio di un incubo economico per i club.
Tre mesi senza stadio significavano, per delle realtà sportive solitamente impegnate in Europa e che, magari, erano riuscite a farsi strada nel cammino in coppa nazionale, perdere gli incassi di un numero di partite compreso tra le 13 e le 20. A questo si aggiunsero le mancate entrate degli introiti derivanti dall’avanzamento nelle competizioni Uefa (Champions League ed Europa League, ndr). I danni iniziavano ad ammontare a decine di milioni di euro.
Per fronteggiare una problematica di questo tipo e non rischiare di chiudere la stagione (il cui futuro, nell’aprile dello scorso anno, era tutt’altro che deciso) con un negativo spaventosamente alto, alcune società ricorsero a quella che sembrava l’unica soluzione plausibile per uscire da una situazione economicamente complessa: il congelamento dei contratti.
Serie A, il congelamento dei contratti inizia e continua con la Juve
Un anno fa furono i bianconeri, nel mese di aprile, a proporre ai propri giocatori sospendere il pagamento delle mensilità di aprile, maggio e giugno per far fronte all’improvvisa montagna che il mondo del calcio si era trovata a dover scalare (gli stipendi, a seguito di un positivo di circa 90 milioni di euro sull’esercizio 2019/2020, sarebbero poi stati ridistribuiti all’inizio della stagione successiva). A distanza di dodici mesi dalla dura decisione presa da staff e squadra (i cui calciatori, al pari di quelli di molte altre compagini nazionali, si dissero disposti ad un tale sacrificio), il cammino Champions non eccellente della Vecchia Signora (fermata agli ottavi dal Porto, con tutte le mancate entrate che sarebbero derivate da un eventuale avanzamento ai quarti di finale, ndr) e la costante assenza dei tifosi sugli spalti mettono nuovamente Pirlo e suoi davanti ad una scelta difficile: la dirigenza avrebbe, infatti, chiesto a Giorgio Chiellini (36 anni, difensore, ndr) e Gigi Buffon (43 anni, portiere, ndr) di farsi portavoce della società e chiedere un ulteriore sforzo ai compagni, ai quali sarebbe stato chiesto, ancora una volta, di congelare le mensilità di aprile, maggio e giugno.
A gennaio la relazione semestrale della Juventus F.C. aveva fatto registrare un preoccupante meno 113,7 milioni ed un sacrificio come quello richiesto dai vertici bianconeri permetterebbe al bilancio di rifiatare in vista del termine della stagione (con una risalita stimata di 80 milioni, ndr).
Questione, quella legata ai contratti, che fa riflettere sulla partenza di Higuain nell’agosto dello scorso anno (l’argentino sarebbe stato in scadenza nel 2021 ma, proprio a fronte dell’impossibilità di prevedere le dinamiche legate alla pandemia, la società ha preferito svincolare il Pipita per liberarsi del suo oneroso ingaggio da ben 7,5 milioni annui, ndr) e sulla permanenza di Ronaldo a Torino, non più così scontata (il suo stipendio ammonta a circa 31 milioni netti, ndr). Un accesso Champions non guasterebbe, ma, per chiudere in positivo, la Juventus necessiterebbe di plusvalenze per circa 100 milioni di euro nel corso della prossima sessione di mercato.
Serie A, tutti al lavoro
Se la Juventus ha dato il buon esempio, decine di altre compagini (anche nel campionato cadetto, la Serie B, ndr) hanno adottato strategie simili ed hanno sospeso il pagamento degli ingaggi in attesa di improbabili e corpose plusvalenze nel corso del mercato estivo. Le varie realtà vivono situazioni diverse. Il mantenimento degli impianti, ad esempio, non è una problematica che tocca direttamente tutti (si prenda ad esempio il caso del Napoli, che non detiene la proprietà del Diego Armando Maradona, ndr) ed alcuni club non si trovano nemmeno a dover affrontare le spese relative ai settori giovanili, per i quali molte dirigenze hanno preferito non investire quasi nulla.
Che la macchina del calcio faccia girare soldi è un dato di fatto e a risentire dello stop alle competizioni internazionali è stato anche il settore turistico, che ha sentito la mancanza dei viaggiatori occasionali che popolavano gli alberghi in occasione delle trasferte in vista di big match di Champions od Europa League.
Un giorno gli stadi torneranno a tremare, ma, ad oggi, il futuro del calcio è tutto da decidere.
A cura di Mario De Vito