DALLA BCE ALLA MCKINSEY&COMPANY: Pietro Scaglione

Pietro, laureato in Economics and Finance ad oggi è Business Analyst nella Risk & Resilience Practice da Mckinsey & Company

Terminato il liceo avevi già le idee chiare su quale carriera universitaria intraprendere?

Non ho mai avuto grossi dubbi sulla sceltà della facoltà universitaria: al liceo ho sviluppato un particolare interesse per la matematica e per la storia, ero affascinato da come le dinamiche economiche avessero particolarmente condizionato gli eventi storici più importanti e mi interessava capire se e come fosse possibile sintetizzare questi fenomeni attraverso i numeri.

Cosa ti ha spinto a scegliere il percorso di studi in Economia? E perché proprio in Economia e Commercio?

Tra i possibili corsi di laurea della facoltà di Economia, ho scelto Economia e Commercio perché offriva la possibilità, a metà del percorso accademico, di frequentare una serie di corsi a spiccato carattere quantitativo teALLAMcnuti completamente in inglese, il cosiddetto Curriculum Sperimentale. Mi sembrava la strada più ragionevole considerando il mio interesse per le materie quantitative.

Hai riscontrato delle difficoltà nei primi anni di università? Se sì, quali e come le hai affrontate?

A tal proposito, raccontare due aneddoti penso sia più utile di qualsiasi altra cosa:

  • Nel 2014, la possibilità di frequentare i corsi di Economia e Commercio era subordinata al completamento di un test d’ingresso: una formalità, considerando come il numero dei partecipanti al test fosse spesso più basso dei posti messi a disposizione dall’Ateneo. Affrontai il test con questa consapevolezza e condizionato dal fatto che avessi conseguito la maturità scientifica in carrozza: mi ero infatti diplomato senza alcuna difficoltà. Il giorno del test filò abbastanza liscio: ero sicuro di aver fatto una prova più che dignitosa. Dopo una decina di giorni, lo shock: dopo aver eseguito l’accesso al portale per controllare l’esito del test, lessi: “PUNTEGGIO CONSEGUITO: 0”. Zero. Venni a sapere in seguito che dimenticai di inserire la lettera identificativa del questionario, provocando il suo annullamento. Riuscii nell’incredibile impresa di classificarmi 426esimo su 433 partecipanti totali. Passai il mese successivo in preda alla disperazione, sperando che 26 anime pie cambiassero idea, permettendomi l’iscrizione al corso che avevo scelto. Per fortuna, fu questo il caso.
  • Il primo corso che frequentai fu Economia Aziendale e Ragioneria, tenuto da un professore decisamente sui generis. Il corso era diviso in due parti: economia aziendale nella prima, ragioneria nella seconda. Alla fine della seconda lezione di ragioneria, mi avvicinai al professore per rivolgergli una domanda: ricordo che fosse banale ma, non avendo alcuna familiarità con la materia, mi sentivo abbastanza giustificato. “Professore, scusi il disturbo, volevo chiederle una cosa…”. Senza nemmeno permettermi di terminare la domanda, distolse lo sguardo dal suo pc e mi fulminò: “Senta, ma lei, da un mese e mezzo a questa parte, come ha trascorso il suo tempo?”. Chiaramente, evitai accuratamente di rivolgergli ulteriori domande in seguito. 

Ma non è finita qua. 

L’esame era composto da due parti: 8 domande a risposta multipla a cui rispondere in 10 (!) minuti, e i successivi 50 da dedicare alla risoluzione di una serie di operazioni di contabilità. Svolsi la prima parte dell’esame nel miglior modo possibile (avrete intuito ormai la mia scarsa familiarità con le domande a risposta multipla), consegnai il foglio e mi dedicai alla contabilità. A metà dei 50 minuti, l’assistente del professore si rivolse alla classe in questo modo: “I seguenti studenti sono pregati di lasciare l’aula in quanto l’esito delle domande a risposta multipla non è stato ritenuto sufficiente: …” seguono 10 minuti tragicomici in cui una buona metà della classe fu costretta ad abbandonare anzitempo l’aula. Incredibilmente, fui tra i superstiti. Al termine dell’esame scritto, il professore si riservava la possibilità di svolgere un esame orale ad alcuni candidati. Ebbi la fortuna di svolgere l’esame orale con il suo assistente, decisamente meno sopra le righe. Al momento dell’assegnazione del voto, l’assistente si rivolse al professore: “Professore, il candidato ha svolto un buon orale, proporrei di mettergli 24”. Il professore mi guardò, ebbe un sussulto (probabilmente mi riconobbe) e rispose: “24 è troppo, 21. Accetta?”. Tutto questo senza aver assistito alla prova orale o avermi fatto alcuna domanda che potesse giustificare un abbassamento del voto. Ovviamente, accettai senza pensarci due volte.

Come avrete capito, l’inizio della mia carriera universitaria non fu una passeggiata di salute.

Come ho gestito queste difficoltà? Non bene. Dopo anni scolasticamente sereni, venni travolto da uno tsunami. Tutto ad un tratto, non mi sentivo più sicuro delle mie capacità.

Come ne sono uscito? Dopo aver smaltito le batoste, provai a trarre un insegnamento da queste vicende e a mettermi al centro. Il fatto che il professore fosse un tipo pittoresco non giustificava il mio approccio al mondo universitario, completamente sbagliato. Non ero più il primo della classe e, se avessi voluto riconoscimenti e stima dai miei colleghi o dai professori, avrei dovuto guadagnarmeli sul campo.

Che insegnamento posso condividere con chi si appresta ad iniziare questo percorso? Come in ogni cambiamento, è normale avere delle difficoltà: consiglio di affrontare i primi mesi universitari con equilibrio. Non pensare di essere nel posto sbagliato se ad un paio di esami si rende sotto le aspettative, non pensare di essere arrivato se l’inizio sembra più soft di quello che si immaginava.

Notiamo che, terminata la triennale, hai deciso di iscriverti ad Economics and Finance. C’è stato qualche insegnamento/evento che ti ha portato a scegliere questo corso di laurea? 

Ciò che mi ha portato a scegliere questo corso di laurea, a dire il vero, è la struttura peculiare di questo corso di laurea magistrale. Dopo un iniziale periodo di adattamento, nel corso della triennale ero riuscito ad attestarmi su un livello abbastanza soddisfacente. Insomma, ero tornato in carrozza e sentivo di volere qualcosa di più stimolante per il futuro. L’impostazione della Laurea Magistrale in Economics and Finance (LMEF) mi ha ammaliato fin da subito: corsi molto quantitativi e intensi, esami subito dopo la fine dei corsi e condensati in una settimana. Ero curioso di sapere come un ragazzo molto emotivo come me avrebbe affrontato una settimana da 4 esami in 5 giorni. Inoltre, il fatto che i corsi fossero tutti in inglese aggiungeva quel pizzico di esotico che di certo non guastava.

Durante il percorso della magistrale sei stato in Erasmus a Francoforte. Quanto ha influito questa esperienza a livello personale?

È stata un’esperienza fondamentale per la mia crescita. Sono sempre stato un ragazzo iper-viziato che ha avuto la fortuna di dover pensare a niente altro che allo studio e avevo bisogno di capire come fosse il mondo reale. Inoltre, ero affascinato dalla possibilità di poter vivere in un ambiente diverso rispetto a Napoli, possibilmente opposto: Francoforte mi sembrava perfetta. Qui, infatti, ho trovato tutto ciò che a Napoli non avrei mai potuto sperimentare: dall’affidabilità dei mezzi di trasporto alla neve d’inverno, dall’ambiente multiculturale ai negozi chiusi la domenica. Inoltre, ho avuto la fortuna di stringere legami molto importanti con persone con cui tuttora condivido molto della mia sfera privata. Volutamente, ho lasciato l’ambito accademico per ultimo: ho frequentato corsi molto interessanti e più applicativi rispetto a quelli frequentati durante i quattro anni a Napoli. Aspetto molto importante, ma a parer mio secondario rispetto ai precedenti. 

La tua tesi verte sugli IRB models. Di cosa si tratta e perché hai scelto questo argomento?

IRB sta per Internal-ratings based: in due parole, sono i modelli statistici utilizzati dalle banche per valutare il merito creditizio di clienti potenziali ed esistenti. È un tema molto affascinante perché legato a doppio filo alla stabilità degli istituti finanziari: argomento di grande rilevanza, specialmente negli ultimi anni. La Grande Recessione ha infatti dimostrato come banche incapaci di valutare in maniera opportuna il rischio associato ai propri clienti siano soggette al pericolo di subire ingenti perdite. In una realtà economica interconnessa come quella in cui viviamo, dove le banche hanno gradualmente assunto un ruolo centrale per lo sviluppo economico di molti settori, è dovere sociale di tutti gli attori del mondo finanziario provare a ridurre al minimo tale rischio con l’obiettivo di scongiurare il più possibile ulteriori crisi.

Scelsi questo argomento su suggerimento del mio relatore: mi piacque molto il suo corso e gli chiesi di indicarmi una serie di argomenti che avrebbero potuto interessarmi, sulla base delle mie inclinazioni. Il caso ha voluto che gli IRB models diventassero anche il focus del mio lavoro alla BCE.

Passiamo alla carriera post-universitaria. Come sei venuto a conoscenza dell’opportunità di lavoro alla BCE?

Un ex-alunno LMEF, ai tempi trainee alla BCE, mi parlò di questa possibilità e della sua esperienza. In ogni caso, è più che sufficiente controllare la pagina dedicata alle posizioni aperte per essere sempre aggiornati.

Come è impostato un classico colloquio alla BCE?

Inizio col dire che la BCE è costituita da una serie di Direttorati che si occupano di mansioni molto diverse. Tale diversità, chiaramente, si riflette anche nel contenuto dei colloqui. Tendenzialmente, però, l’interview è composta da quattro macro-aree:

  • Domande motivazionali, ad esempio: “perché hai scelto la BCE?”, “cosa fa di te il candidato ideale?”, “perché hai scelto questo specifico dipartimento?”.
  • Domande tecniche, variabili rispetto alla posizione di riferimento. Nel mio caso (Traineeship in Banking Supervision): “quali sono i rischi bancari più rilevanti?” “Parlami del fallimento di una banca e di quale rischio si è concretizzato nella fattispecie”.
  • Domande legate all’utilizzo di software, nel mio caso legate esclusivamente al pacchetto Office. Per posizioni a stampo maggiormente quantitativo questa sezione potrebbe riguardare anche i linguaggi di programmazione più diffusi, come R o Python.
  • Domande comportamentali, nel mio caso “raccontaci di una tua esperienza in un lavoro di gruppo ed eventuali difficoltà affrontate”.

Come avrete notato, le domande tecniche rappresentano una piccola parte, e sicuramente non la più importante, di questo tipo di colloquio. A tal proposito, ricordo di aver risposto in maniera imprecisa ad una delle domande tecniche che mi rivolsero. Consiglierei dunque di concentrarsi maggiormente sulla preparazione delle domande motivazionali e comportamentali, che a mio avviso fanno realmente la differenza.

Quali sono le soft skills richieste per entrare in una delle istituzioni più prestigiose d’Europa?

Niente di sovrannaturale. Mi rendo conto che un’istituzione come la Banca Centrale Europea possa intimorire a primo impatto, ma vi assicuro che entrarci è ampiamente alla portata di chiunque. Detto questo, a mio parere le qualità maggiormente apprezzate sono le seguenti:

  • Buona volontà: tutti sanno che un giovane che si appresta a completare il ciclo di studi accademico, fondamentalmente, non sa fare nulla. La buona notizia è che nessuno si aspetta che voi sappiate fare. Quello che invece ci si aspetta, e che fa la differenza, è la capacità di mostrarsi entusiasta dell’opportunità per cui si sta concorrendo e disposti ad impegnarsi per imparare. Nelle fasi embrionali della carriera, in cui bisogna essere formati, è molto più importante questo aspetto che l’aver già acquisito una qualsiasi conoscenza tecnica. Anche un esperto di risk management, infatti, dovrà imparare a partecipare alle riunioni e a scrivere un’email nella maniera appropriata, e nessuno ha voglia di formare una persona maldisposta o arrogante.
  • Do the homework: detto questo, la domanda è: “come posso veicolare la mia voglia di intraprendere un’esperienza di questo tipo?” Il linguaggio utilizzato, a tal proposito, è di fondamentale importanza. Bisogna cercare di trasmettere la passione e l’entusiasmo al proprio interlocutore.  Inoltre, conoscere in anticipo la struttura e gli argomenti del colloquio può fare la differenza. A tal proposito, consiglierei di sfruttare tutti gli strumenti a propria disposizione, ad esempio LinkedIn o il network di ex-studenti del corso di laurea di appartenenza.
  • Essere concreti: come avrete capito, la domanda principale su cui un recruiter riflette per decidere se assumere una risorsa junior è: “questo candidato è la persona giusta su cui posso investire tempo e risorse?”. A mio parere, fornire esempi concreti è una strategia vincente. Decisamente meglio presentarsi con: “Lavorando in gruppo, nella circostanza X ho affrontato la difficoltà Y, la quale mi ha insegnato A, B, C e D” piuttosto che dipingersi in maniera irrealistica come il condottiero dell’Invincibile Armada. 
  • Essere sinceri: strettamente legato al punto precedente. Come già specificato, nessuno pretende da un candidato così giovane la perfezione, ma ci si aspetta tanta voglia di crescere ed imparare. A tal proposito, giudichereste affidabile un ragazzo di 23/24 anni, senza esperienze lavorative, che si vende a chi ha almeno 15 anni di esperienza come una sorta di professionista infallibile senza macchia e senza paura? Più facile che un candidato del genere venga percepito come un “sottuttoio” poco disposto ad ascoltare e su cui, di conseguenza, non vale la pena investire. È preferibile, secondo me, essere sinceri e dipingersi per quello che si è: il difetto di oggi, con la giusta dose di impegno e di dedizione, può diventare il punto di forza di domani. I vostri recruiter lo sanno e si aspettano di questo tipo di attitudine.

Spero di essere riuscito a trasmettere un concetto molto importante: il colloquio di lavoro (e quello alla BCE in particolare) è molto diverso da un esame universitario. In questo caso non si testa principalmente ciò che si sa, piuttosto chi si è. Per questo motivo, il mio consiglio è di focalizzarsi sugli aspetti evidenziati sopra piuttosto che studiare in maniera affannosa una quantità di materiale esorbitante con l’obiettivo di prepararsi al 100% per le domande tecniche. Nel mio caso, l’aver maturato questa consapevolezza mi ha aiutato molto, sia nella preparazione dei colloqui che nella gestione delle domande un po’ più complicate.

Quali sono stati i vari ruoli che hai ricoperto all’interno di essa? E quali sono state le principali attività che hai svolto?

Ho lavorato per quasi due anni per il Single Supervisory Mechanism (SSM), l’organismo della BCE che si occupa della supervisione, diretta o indiretta, degli istituti di credito dell’Eurozona. Qui ho svolto per un anno il ruolo di Trainee e successivamente sono stato promosso a Supervision Analyst. Il leitmotiv di questa mia esperienza, come anticipato in precedenza, sono stati i modelli IRB. Ho infatti lavorato per circa un anno e mezzo a stretto contatto con un Adviser, una figura di raccordo e di riferimento per le tematiche legate al mondo IRB per i JSTs (Joint Supervisory Teams  – i team responsabili della supervisione diretta delle banche più rilevanti). Da settembre a dicembre 2020, ho invece collaborato con una divisione a forte stampo legale, Enforcements & Sanctions (ESA), con l’obiettivo di aiutare a gestire le controversie burocratiche legate a quest’argomento. 

In termini di attività, c’è stato un grosso cambiamento tra le due esperienze: mentre nella prima svolgevo un ruolo prettamente di supporto attraverso la preparazione di presentazioni, di analisi su Excel e di follow-up con i diversi JSTs, nella seconda rivestivo il ruolo di esperto in una divisione composta quasi esclusivamente da professionisti con un background legale. In questo caso, le mie responsabilità riguardavano la preparazione di documenti ufficiali e di riunioni importanti con gli stakeholders, sia interni che esterni alla Banca

Quali competenze hai acquisito durante questo periodo? 

L’esperienza alla BCE è stata probabilmente la cosa migliore che potesse capitarmi dal punto di vista professionale e personale. A dire il vero, non avevo la minima idea di quale tipo di carriera intraprendere: mi sono lanciato in questa opportunità senza pensarci troppo ed ho avuto grandi possibilità di crescita. Per quanto abbia avuto modo di lavorare principalmente su un unico argomento, l’eterogeneità di profili con i quali ho interagito mi ha permesso di construire un’idea molto più precisa su cosa mi avrebbe fatto piacere fare negli anni successivi.

Inoltre, la possibilità di lavorare a stretto contatto con così tanti professionisti provenienti da tutt’Europa mi ha aiutato a sviluppare un mindset lavorativo molto internazionale, legato principalmente alla maniera di interagire con i colleghi, sia informale che formale, e al modo di strutturare analisi e documenti attarverso il pacchetto Office. Nel tempo libero, ho imparato a padroneggiare linguaggi di programmazione, come SQL e Python, e ho approfondito ulteriormente l’universo dei modelli IRB, cercando di contestualizzare al meglio le attività da me svolte.

Attualmente lavori alla McKinsey & Company come Business Analyst. Di cosa ti occupi?

Da McKinsey lavoro come Business Analyst nella Risk & Resilience Practice, il dipartimento che gestisce progetti legati al mondo Risk Management per i principali gruppi bancari (e non) europei. In particolare, il mio team sta attualmente supportando, in collaborazione con un’altra compagnia di consulenza finanziaria, la transizione ad un sistema di valutazione dei rischi più efficiente per uno dei nostri clienti.

Quanto contano le competenze informatiche nel contesto lavorativo?

Le competenze informatiche nel contesto lavorativo contano molto, non c’è dubbio. A riguardo però mi sento di fare due considerazioni:

Il livello informatico richiesto per la maggior parte delle posizioni a stampo finanziario non è molto alto: anche in questo caso, spesso ci si aspetta niente altro che una familiarità con il pacchetto Office e, al massimo, con i principali linguaggi di programmazione.

Per quanto le competenze informatiche siano importanti e molto apprezzate in ambito lavorativo, rimangono uno strumento, che bisogna imparare ad utilizzare nella maniera opportuna in base al proprio obiettivo. A mio parere è dunque sufficiente sviluppare il giusto mindset informatico, ad esempio imparare a maneggiare correttamente un dataset generico attraverso le funzionalità di base. Tutto il resto viene perfezionato sul campo, se necessario.

Parlaci delle tua routine.

Purtroppo, non posso non rispondere a questa domanda con un clichè: Il consulente finanziario non ha una routine. Per quanto odiassi questa frase prima di entrare a far parte di una società di consulenza, mio malgado sono costretto ad ammettere che rispecchia perfettamente la realtà. Permettetemi, però, di aggiungere un po’ di colore a quest’espressione all’apparenza molto glamour. Ci sono infatti una serie di fattori che influenzano fortemente la giornata tipo di un consulente finanziario, ne elenco di seguito alcuni:

  • Il progetto: ci sono alcuni progetti più brevi, come le due diligence, ed alcuni più lunghi (io, ad esempio, sto attualmente lavorando ad un progetto pluriennale). Va da sè che, di solito, i progetti più brevi richiedono di concentrare un grosso numero di attività in un breve lasso di tempo, rendendo le giornate decisamente molto intense.
  • Il team: come è normale che sia, ci sono colleghi più rapidi ed organizzati ed altri che hanno bisogno di più tempo. Lavorare ad un progetto in consulenza vuol dire quasi sempre lavorare in gruppo e dover attendere input e feedback per poter proseguire con le proprie attività. 
  • La propria attività: all’interno dello stesso team, le mansioni spesso variano sensibilmente al variare dell’area di responsabilità a cui si è affidati.
  • Le urgenze: fattore cruciale e sicuramente da non sottovalutare. Non è raro, infatti, che si ricevano richieste improvvise da parte del top-management, ad esempio il CEO del cliente per cui si sta lavorando. In casi come questo, tutte le proprie attività vanno messe in secondo piano per dedicarsi anima e corpo allo svolgimento di questo compito.

Volendo essere più specifici, nel progetto in cui sto attualmente lavorando mi è stata affidata la gestione del workstream, l’area del progetto, maggiormente focalizzata sullo sviluppo tecnico degli strumenti e delle metologie. Le attività che normalmente svolgo su base quotidiana riguardano:

  • Allineamento tra i numerosi stakeholders del progetto (membri dei diversi team e leadership coinvolte).
  • Responsabilità sulla corretta ed efficiente gestione delle attività dei colleghi con mansioni maggiormente operative.
  • Gestione di ogni tipo di imprevisto, tecnico e non, legato alle attività del workstream.
  • Organizzazione di sedute di trainings su soft e hard skills, spaziando da come comunicare in maniera effettiva alle basi dei più recenti principi contabili

Quali consigli ti senti di dare ad un neolaureato e ad una matricola?

Cercando di andare oltre quello che ho già detto precedentemente, mi sento di aggiungere tre punti:

  • Cercare i propri drivers. Personalmente, ho vissuto l’esperienza universitaria condizionato da un motto abbastanza angosciante: l’esperienza universitaria andava terminata presto e bene. Pensavo che laurearsi alla prima seduta disponibile e con il massimo dei voti ti proiettasse automaticamente nell’Eden, mentre tutti gli altri erano destinati per forza di cose ad un avvenire mediocre da un punto di vista professionale. Non potevo coltivare convinzione più sbagliata.

Premessa: non sto dicendo che il percorso accademico non conta nulla, ci mancherebbe. Quello che voglio dire è che il voto di laurea e, più in generale, il percorso accademico, è semplicemente uno dei tanti parametri che le compagnie utilizzano per valutare i profili dei candidati e, a mio avviso, nemmeno il più importante. Tornassi indietro, infatti, dedicherei più tempo alla ricerca di un’internship estiva da svolgere durante gli anni universitari o, ancora più importante, a schiarirmi le idee. Le facoltà di stampo economico offrono possibilità di carriera potenzialmente infinite. Da un lato questo aspetto è sicuramente un vantaggio, dall’altro però rischia di diventare un’arma a doppio taglio. Non è raro che, condizionati da questa fretta sociale, ci si getti nella prima occasione con cui si viene a contatto dopo la laurea senza nemmeno esplorare il ventaglio di opportunità che si ha a disposizione. In alcuni casi, il mio ad esempio, le cose possono girare nel verso giusto, ma in altri ci si può trovare imbottigliati in un lavoro che non è di proprio gradimento e dal quale non ci si riesce a liberare. Per questo motivo, consiglierei ad uno studente di non concentrarsi esclusivamente sulla preparazione degli esami ma di riflettere su una serie di aspetti che esulano quello universitario: quale potrebbe essere l’ambito lavorativo più affine alle proprie caratteristiche, quanto tempo e spazio si è disposti a dare al lavoro nella propria vita, solo per fare alcuni esempi. 

  • Prendersi il proprio tempo. La ricerca che ho menzionato precedentemente è tutt’altro che semplice o immediata, soprattutto considerando la giovane età. A parer mio, bisognerebbe porsi interrogativi molto complessi, che richiedono un certo grado di introspezione. Va da sè che questo processo necessita di tempo. La buona notizia è che non c’è fretta: non fatevi condizionare dal presto e bene come ho fatto io. Le aziende, infatti, preferiscono di gran lunga assumere una persona laureata un po’ in ritardo e non con il massimo dei voti ma con le idee chiare piuttosto che uno scolaro ineccepibile che non si è mai interrogato veramente su che direzione dare alla propria vita. Volendo essere più concreti, io ho iniziato a pormi certe domande solo una volta terminati gli studi, e la ricerca di risposte soddisfacenti ha richiesto molto, molto tempo e l’esplorazione di realtà che inizialmente percepivo come lontanissimi dal mio essere, come la psicologia e la meditazione. L’aver sviluppato consapevolezze che (per il momento) reputo adatte alle mie caratteristiche non solo mi ha permesso di aumentare considerevolmente la qualità della mia vita ma anche di sviluppare la mia personalissima visione. Ciò che a primo impatto potrebbe sembrare completamente avulso dalla realtà professionale è invece stato il fulcro del mio processo di selezione per McKinsey. I Partner con i quali ho avuto modo di interfacciarmi, infatti, hanno dedicato la maggior parte dei colloqui a cercare di capire se il mio modo di ragionare e, più in generale, di essere, potesse essere conforme all’impostazione necessaria per essere un bravo consulente finanziario. Le domande di natura tecnica ci sono state, ma a parer mio hanno avuto un ruolo meno prioritario.
  • Non lasciarsi intimorire. Durante il mio percorso universitario ho avuto modo di ascoltare le leggende più stravaganti:
  • “Preparati, l’esame di metodi matematici va provato almeno tre volte prima di pensare di poterlo passare”.
  • “Non scegliere quell’esame, il/la professore/professoressa è pazzo/a”.
  • Decisamente la mia preferita: “Vuoi iscriverti all’LMEF? Ti conviene comprare le pillole di ginseng, dovrai abituarti a passare le notti sui libri”.

La (mia) verità? Eccola:

Il corso di metodi matematici è impegnativo, forse uno tra i più impegnativi del corso di laurea triennale in Economia e Commercio, ma con un pizzico di impegno e di regolarità è ampiamente alla portata anche di chi affronta il corso senza forti basi quantitative.

Il professore/la professoressa che viene spesso additato/a come pazzo/a spesso è semplicemente molto esigente. Una professoressa da molti riconosciuta come pazza, purtroppo scomparsa qualche anno fa, è stata la persona che, nell’arco del mio percorso universitario, mi ha ispirato e consigliato più di chiunque altro. Se fossi stato a sentire quelle voci avrei perso una grandissima opportunità di crescita.

L’LMEF è sicuramente impegnativo ed adattarsi ad una struttura completamente nuova richiede grosse motivazioni e sacrifici. Bisogna necessariamente passare la maggior parte delle proprie notti sui libri? Assolutamente no. Io, ad esempio, non ho mai studiato oltre le 21 (neppure in prossimità degli esami) e sono sopravvissuto alla grande. È andata così perché sono particolarmente intelligente? Direi proprio di no (se fosse stato questo il caso non avrei avuto grossi problemi ad inserire la lettera identificativa del questionario del test d’ingresso, del resto).

Il messaggio che vorrei trasmettere ai giovani che si apprestano ad iniziare questo percorso è che probabilmente troveranno molte persone sul proprio cammino desiderose di paragonarsi ai supereroi dei cartoni animati, quello che in gergo tecnico si chiama overselling. Non fidatevi e state tranquilli: le difficoltà ci saranno, soprattutto se come me ve le andrete a cercare, ma saranno ampiamente alla portata di chi si armerà di buona volontà e voglia di adattarsi.

Dove ti vedi tra 10 anni? 

Bellissima domanda. Tra 10 anni, mi piacerebbe ancora:

  • Continuare ad imparare.
  • Lavorare con gente competente e motivata.
  • Affrontare situazioni difficili che mi stimolino ad andare oltre i miei limiti.
  • Condividere il mio bagaglio di esperienze con le nuove generazioni.

Insomma, tra 10 anni spero di divertirmi ancora come adesso. Del resto, senza divertimento è solo lavoro.

Intervista a cura di:

Maria Francesca Martino

Ludovica Baccelliere

Daniele Muccio

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